Siamo tanto sicuri che non ci manchi Calvino, oggi? Ecco una citazione preziosa, per chi non vive più in Italia, chi ci vive con difficoltà, chi vorrebbe ritornare, chi vorrebbe andare via.
“Oggi come ieri una soverchiante storia di distruzioni accompagna e condiziona la esile storia di ciò che si riesce a costruire. Il Signor Palomar viene da una nazione della vecchia Europa dove tutto avviene troppo tardi e ogni distacco dall’immobilità assume il carattere di una frana che nessuno sa padroneggiare e dirigere. Per questo è particolarmente attratto dalle forme che persistono attraverso i cambiamenti, dai contrassegni minimi di una civiltà, dalle tracce di una storia come continuità d’un progetto che affiorano in mezzo alla frana universale della storia come saccheggio e massacro.” (Italo Calvino, “Nei boschi degli indiani”, Corriere della Sera, 18 aprile 1976, ora “Palomar in Massachusetts”, Saggi 1945-1985, t. II, Mondadori, Milano 1998, a cura di Mario Barenghi, p. 2699)
Bello, però resto convinto che un “alla mia Nazione” se’ magna quel pezzo, e rutta forte. Considerando che viene prima dell’Italia del boom, e dei danni che si attribuisce a quell’Italia.
Calvino sta a Palomar, come Pasolini sta a Mohole. L’uno veleggia sopra le strutture, l’altro si aggroviglia nelle viscere. L’uno non può pensare l’italiano senza “disperderlo” nelle culture altrui, l’altro senza richiamarsi ad un ideale bucolico pre-industriale di autenticità perduta.
No dai, ‘sta semplificazione no, te prego.
Se leggi bene, non è la solita semplificazione. Ma indico una vertigine, e un difetto significativo, nei due autori. Anche perché in Palomar c’è tanto, ma tanto, Mohole.