Esce oggi il quinto racconto della mia serie Le Vite Illustri, nelle pagine di Repubblica Firenze. Sull’artista Zoè Gruni.
Così inizia:
Probabilmente solo i bambini, che l’attorniavano a mo’ di parata, sapevano giustificare la presenza di quel copricorpo così mostruoso e incoerente, mentre si aggirava specchiandosi sulle vetrine di vestitini sbarazzini e subwoofer retroilluminati. Il boitatá era un mitico animale delle tradizioni brasiliane che Zoè si era portata con sé in una delle sue numerose vestizioni: un serpente di fuoco che lei aveva inverato in delle grosse camere d’aria, del caucciù. L’aveva appena tolto dal bagaglio che si era trascinata da Sao Paolo, da poco si aggirava di nuovo per Los Angeles alla ricerca di un posto dove installare le sue radici transitorie d’artista. Quei vestimenti erano infatti anche dei tubi, delle cannule, dalle quali suggere idealmente lo spirito ctonio di un luogo, per appropriarsene con confidenza viscerale…