“Pensai allora se alla fine di tutto non fosse davvero necessario o inevitabile un giudizio universale, un giorno in cui in una grande pianura scavata dalle macchine, gli automi-autori non venissero a chiederci i conti, ad emettere un giudizio, a chiedere ragione di come le nostre macchine fossero state usate e perdute, esse che invece avrebbero potuto liberarsi e perfezionarsi fino a diventare veramente lo strumento completo dell’intelligenza stessa degli autori, fino a raggiungere una libertà che significasse una vita senza rapporti e senza regole, articolata in tutti gli incontri che uno volesse, al di là della meccanica stessa, ma sempre nell’ordine di una amicizia completa e di una armonia tale tra i popoli da superare i popoli stessi ed anche i limiti dei loro diversi mondi.” (P. Volponi, La macchina mondiale, Garzanti, Milano 1965, p. 58)