Per la serie: un’attitudine d’esplorazione che vedo assente in molta narrativa italiana contemporanea, di ottima qualità letteraria (direi “speditezza”), ma, a quanto pare, ripiegata sui propri quartieri e province. Mancano, tranne rari casi (penso a Franco Arminio) esplorazioni anche interiori del territorio reale e immaginario. Ecco qui un passaggio da Il padre selvaggio (1962), sceneggiatura dolce e feroce di Pier Paolo Pasolini di un film mai realizzato. Per spiegare un po’ cosa intendo. Importante che si parli della figura dell’insegnante, figura “di frontiera” per eccellenza anche nelle democrazie più evolute, ma in decadenza, come la nostra.
Capitolo I – È bello uccidere il leone
Primi giorni di scuola, in un liceo africano, nella capitale di uno stato africano che ha acquistato da un anno l’indipendenza. Il liceo: quattro baracche a un piano su uno spiazzo di polvere rossa, tra i palmizi.
Nel licéo insegna un professore democratico, appena giunto nel nuovo Stato. Sta per cominciare la sua esperienza drammatica con la scolaresca africana, composta dei figli dei pochi impiegati e dei capi tribù dell’interno; la sua lotta contro il conformismo insegnato ai ragazzi dai precedenti professori colonialisti.
Tra gli scolari, uno, Davidson, è il più ostile di tutti alle novità di metodo e di cultura del nuovo insegnante: ed è il più ostile proprio perchè è il più intelligente e il più sensibile. Sono infatti gli intelligenti ed i sensibili che si appassionano alle cose con un attaccamento che può essere fazioso: anche alle istituzioni del conformismo e alla retorica.
La lotta è soprattutto, quindi, tra l’insegnante e Davidson.
Il nocciolo centrale di questa lotta è il problema della libertà, della democrazia, dei rapporti tra bianchi e negri.
Dai dialoghi diretti, e estremamente sinceri, del professore, viene fuori, esauriente, il quadro politico dello Stato africano appena libero. I rapporti con l’ONU, i rapporti con lo Stato ex colonialista, ecc.
Il metodo del nuovo insegnante, nel far capire le cose, appunto perchè è sincero e democratico, appare sempre «scandaloso» agli scolari, abituati alla supina accettazione, alla meccanicità dell’insegnamento autoritario.
Un giorno, per esempio, il professore dà agli scolari questo tema: «Descrivete la vostra vita vera nella tribù, a casa vostra, nella foresta». Ebbene, saltano fuori degli svolgimenti tutti retorici e mistificatori. E allora il professore fa rifare il tema: egli vuole che i suoi scolari affrontino coraggiosamente la vergogna, la miseria, la superstizione o lo stato tribale, da cui provengono. Cerca di spiegare loro che cosa è la cultura «magica», la ritualità, i tabù, il cannibalismo, ecc.
Dopo la terza o quarta volta, accade una specie di miracolo: Davidson svolge finalmente un tema molto sincero, e, per questo, scritto estremamente bene, quasi come autentica poesia. Egli racconta, con grande vivezza e fantasia di particolari, una tipica situazione tribale: l’obbligo che ha un giovane, per diventare uomo, di uccidere da solo un leone.
Il professore, stupito e felice, loda di fronte a tutti il tema, e commenta, dopo averlo letto, l’inutile crudele abitudine della tribù.
Gli scolari comprendono la critica rivolta dal professore all’arcaicità, ormai superata dalla storia degli stessi africani, della cultura tribale. Tuttavia, alla fine, Davidson non può fare a meno di dire, con la sua voce roca e dolce:
– Però è bello uccidere il leone!
Sì, è difficile staccarsi criticamente dal proprio mondo vitale. È questa vitalità istintiva che è la sede poi, a un livello superiore, della pigrizia intellettuale, e del conformismo.
Soprattutto nello studio della poesia, gli scolari si mostrano pigri e pieni di riserve mentali: non capiscono la poesia «moderna». Sono meccanicamente abituati al classico accademico.
Anche qui il professore deve affrontare lo «scandalo», e legge ai suoi scolari la difficile poesia di un poeta africano. Niger o altri: una poesia che ricorda i modelli europei più raffinati, Eliot o Dylan Thomas…
Gli scolari negri hanno la stessa reazione della maggior parte degli scolari bianchi, non capiscono, si distraggono, quasi ne ridono.
Piano piano il professore la spiega, la commenta con esempi immediati, concreti, che cadono sotto l’esperienza di tutti: rende chiari e lampanti i versi dapprima incomprensibili.
Ma Davidson non vuole capire.