Da oggi su Doppiozero verranno ospitate una serie di mie cronache sulle elezioni in Messico, che probabilmente andranno a completare un libro. Ecco la prima. Su Twitter con hashtag #primaveramessicana, vengono completate da commenti in diretta su epifanie giornaliere.
La prima, più segreta, verità del cactus non è quella della sua resistenza all’aridità: è la sua fioritura, che a volte sarà splendida e smagliante, altre una corona regale al di sopra di affilate spine. Come la primavera, in Messico, questa non avrà mai sosta: attraverserà le stagioni e gli altipiani, si disferà al caldo tiepido invernale del Distrito Federal, scuoterà i propri colori nelle tormente estive in Chiapas, creperà la terra riarsa nel Nord della frontiera. E siamo proprio al Nord, nell’impressionante romanzo Porque parece mentira la verdad nunca se sabe di Daniel Sada. Dove due figli, Salomón e Papías, sputano in faccia al padre Trinidad, meschino commerciante di provincia, ribellandosi. L’oltraggio ha luogo nel paesino immaginario di Remadrin, nel quale, a seguito di una smascherata frode elettorale, cadono uno dopo l’altro cadaveri senza nome da un misterioso camion, in processione. Saranno i manifestanti uccisi in una rappresaglia governativa? E, tra quelli, ci saranno i figli di Trinidad? Quale sia la verità che sibila nei tourbillon di parole del deserto barocco e gaddiano di Sada – in quest’opera che lo imparenta di diritto a un Lezama Lima – forse non ci è dato sapere. Poiché sembra falsità, la verità mai si sa, recita il titolo. Sebbene ogni giorno potrà rifiorire sulle spine del cactus.
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