Pasolini e il buon selvaggio – Note per un nuovo testo che ho in mente / 1

Pier-Paolo-Pasolini520“Il consumatore dev’essere un uomo leggero, infantile, volubile, curioso, giocherellone, credulo. Il compratore è sostanzialmente una fanciulla. S’infrange il monoteismo, col Padre che dà, non prende; s’infrange con i suoi domini storici della piccola borghesia occidentale e rossa, lasciando il posto a un politeismo di Beni donati da un Padre che non vuo­le farsi imitare? Del resto, nel cuore della civiltà europea e americana, chi dissente dalle sue regole, istintivamente precorre i tempi, rinunciando per prima cosa alla dignità virile, cioè dissociandosi dal padre: tutta la gioventù dissen­ziente si veste, si muove, si comporta in modo che, pri­ma di tutto, si distingue dal modo di vivere fascista, o potenzialmente fascista, nei paesi imperialisti: la man­canza di dignità nel vestire, anzi la scelta ben determina­ta di vestiti da buffoni, la debolezza muscolare, i capelli lunghi come le donne, il pacifismo, l’indegna ansia di accattonaggio, l’aspirazione a dormire in grotte, in piccio­naie, in cantine, o sotto i ponti. Un giovane dissenziente è privo di dignità virile come un Raccoglitore dell’Ame­rica Latina che vaga per la foresta, e caca dove si trova, come le adorabili bestie.”

(Pier Paolo Pasolini, Che fare col “buon selvaggio”?, “L’Illustrazione Italiana”, CIX, 3, febbraio-marzo 1982) 

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