Estratto da un inedito, scritto su invito qualche settimana fa. Lo dedico, con urgenza, agli amici chileni. Potete fare le donazioni all’Ambasciata Cilena in Italia. Più sotto ripubblico i dati.
Un altro tonfo richiamò l’attenzione su di un’altra stanza, i bambini si precipitarono a falcate impostate, da bambini, distolti dalla mancata uscita e dal corpo di quel leader solidale, che intanto si era rialzato. La calce scodò fuori in un lembo, poi si aspirò di scatto e quella stanza si presentò protesa verso il fuori, e dentro cominciò come a nevicare a fiocchi grossi. Ruberti, appena arrivato, pensò che non c’era comunque niente da vedere, e la neve era un palliativo, anche se c’era una schiera di angeli, con occhiaie azzurrate e ali troppo estese, prostrate di neve. Gli angeli si toccavano spaesati dietro le spalle il punto dove l’ala si stava piegando, e lamentavano in coro “Fate presto”. Più che angeli parevano anfibi spogliati del loro habitat. Ruberti rimase lì davanti stecchito, stringendosi la giacca sulla pancia esposta, mirando oltre la schiera, spolverandosi, mordendosi le guance sotto i denti. “Fate presto”. Guardò verso l’architettura della stanza, retta solo dalla parete della porta d’entrata e da due esili strappature di muro ai lati. La parete esterna esplosa mostrava ora lo scorrere di molti lampi, ricordi estratti degli angeli-anfibi bruciati, come lembi di carta in una cenere, in una visione aerea della bragia dove cadevano. Non vi riconobbe Bologna, non vi riconobbe la fontana di via San Giovanni, non vi riconobbe il punto esatto dove il capetto della Betta spuntava ogni notte, rompendo il coccio, mostrando il moncherino.Fu spintonato da uno che s’era messo in precedenza sulla sua scia. L’uomo entrò nella stanza con un lungo pastrano un po’ macchiato di neve sporca sulla coda, una sorta di detective dal passo un po’ bigotto, cautelare, la testa riccia, piccoli denti tesi che valutavano lo spazio, le infossature degli occhi non livide, ma cave, da calavera messicana. La schiera degli angeli-anfibi si serrò, oscillò ubriaca, per quanto poteva per il peso della neve, oscillò in un “Noi sappiamo” contro il Rappresentante: così lo nominò Ruberti in testa, per via dei denti piccoli, telegrafici e l’aria da officiante. L’uomo alzò il braccio destro e, piegando il dito in aria, come piegando un grilletto, spense lo spazio agli occhi dei bambini. Spense tutto.