Un’intervista per la rivista messicana Cuadrivio su romanzi, saggi e altri viaggi

È uscita ieri un’intervista fattami nei primi mesi del 2013 a cura di Raúl Olvera Mijares sulla rivista messicana Cuadrivio. 

Copio qui sotto il testo in italiano.

Qui la versione originale.

Innanzitutto vorrei cominciare questa intervista per domandarti com’è che un fiorentino, addiritura poeta e adesso romanziere, finisce facendo il professore di letteratura a Città del Messico, credo che presso l’Università Anáhuac, la cui è un istituto degli studi superiori che appartiene ai legionari di Cristo. Insegni sempre lingua e lettatura italiana o anche spagnolo?

All’Anahuac faccio al momento il professore di italiano. La pratica dell’insegnamento della lingua italiana è in realtà un secondo lavoro, che aiuta a sostenerti quando non si ha un incarico di ricercatore o professore associato, oggi rara avis. Succede spesso negli Stati Uniti, meno nell’Italia –dove la maggioranza degli studiosi è disoccupata o lavora più nei licei. In passato ho lavorato 2 anni alla UNAM come ricercatore post-dottorale in Letras Italianas e spero presto di poter ritornare alla ricerca accademica, visto anche che sto terminando un nuovo saggio sugli scrittori italiani del Novecento e le loro memorie di viaggio (uscirà in Italia tra il 2013 e il 2014). La mia prossima ricerca sarà su uno scrittore italiano importantissimo e pressoché ignorato, che ha vissuto in Messico 50 anni: Carlo Coccioli.

Ho saputo che in breve uscirà un tuo libro elettronico, un E-book, sul titolo Primavera messicana: e altre stagioni (Edizioni della rivista Doppiozero). Questo mondo dell’edizione elettronica sembra talmente lontano per alcuni fra di noi. Tu sei abbastanza giovane, sei nato appena nel 1980 a Firenze. Quale sono le tue sperienze in questo terreno o, in altre parole, com’è che hai cominciato a farlo?

Le edizioni digitali di Doppiozero raccolgono con molta raffinatezza reportages e testi eterogenei di autori italiani contemporanei, ma anche ristampano raccolte e racconti singoli di testi introvabili e preziosi. Sono stato invitato dalla rivista, che in Italia è uno dei punti di riferimento culturali, a scrivere alcune cronache attorno al Messico e al periodico pre- e post-elettorale dell’estate 2012, sul Movimento YoSoy132, su Peña Nieto. Poi mi hanno proposto di fare l’e-book, raccogliendo anche le mie cronache passate per Alfabeta2 –la rinata rivista di Umberto Eco–, Club Dante e Carmilla. Lo sto ultimando, uscirà spero prima dell’estate.

Il tuo primo romanzo, Nella vasca dei terribili piranha (Effige, Firenze, 2012, 216p), è una storia veramente sconvolgente, di natura mista, tra fantascienza e realtà, e racconta la vita di un freak, un fenomeno, metà uomo metà pesce, un ragazzo anfibio, che per sopravvivere debbe attraversare una serie di mestieri, città sconosciute e vicende incredibili. Il significato è ovviamente allegorico, penso, tu vuoi dire che tutti stiamo diventando una cosa che non eravamo prima, che stiamo vivendo una sorta di trasformazione, di metamorfosi, verso una cosa che continua ad essere un enigma?

Nel libro c’è un afflato apocalittico, sicuramente. Si vive un mondo dove la sparizione dell’uomo è pericolosamente vicina. Sebbene possa essere letto anche come un’allegoria delle nuove generazioni di cui faccio parte, vessate dalla precarietà del lavoro –una cosa che in Messico si conosce poco– e dalla ricerca di una via d’uscita dalla crisi morale, economica e politica europea. Nella metafora acquatica e rigenerativa dell’uomo-pesce c’è una speranza di salvezza che forse si sta avverando o che dovrà necessariamente avverarsi.

O forse mi sbaglio, potresti esporre a grandi linee, per i nostri lettori, l’argomento del tuo romanzo e le tue intenzioni come autore?

Volevo innanzitutto scrivere un libro in movimento, divertente, picaresco, una cosa che aveva in comune con Thomas Pynchon la voglia di scrivere la Storia attraverso le storie di personaggi strampalati e agitati. Mi è venuto fuori un romanzo che ha un mix di realismo crudo e realismo magico, dove la fantasia è sempre prospettica, è sempre legata ad una leggenda urbana che si passa di bocca in bocca come un mito virale: un romanzo dove si ride e si soffre, e si allucina. È la storia di un viaggio di de-formazione di un giovane Nessuno, un clandestino che naufraga sulle Isole Canarie. Da lì, parte la sua avventura precaria per l’Europa, dove non sarà solo, ma anzi verrà esaltato, sfruttato, idolatrato e braccato come un salvifico uomo-pesce da una serie di personaggi: una attrice di telenovelas messicana in crisi, un manager di freaks molto colmilludo, un giovanissimo nerd italiano, un vecchio bagnino greco sbroccato, in mezzo ad altri minori.

Non esiste ancora la traduzione del tuo romanzo, hai fatto tu o il tuo agente qualche tentativo di farlo tradurre in Messico?

Lo stiamo facendo. Il romanzo è uscito in Italia da 4 mesi. Stiamo parlando con vari editori nazionali e internazionali. Spero che presto s’inizierà la traduzione.

Ho letto che scrivi ricensioni di libri che appaiono regolarmente su parecchi giornali italiani, tra gli altri, La Reppublica (edizione toscana), adesso pubblichi una serie di racconti, “Le vite illustri”, anche sei poeta. Come si fa per combinare tutti questi mestieri diversi o tu concepisci la scrittura come una sola e stessa cosa?

Ti confesso che a volte vorrei essere uno di quei romanzieri che vive in campagna e scrive solo romanzi dalla mattina alla sera, fumando la pipa. Ma sono nato storto e vorace, quasi bulimico. Ho passato da varie esperienze, iniziando a scrivere per il teatro, poi la poesia, e la narrativa quasi allo stesso tempo, sebbene sia approdato tardi al romanzo. E ovviamente la saggistica e l’impegno accademico, lo studio. Senza i miei studi accademici non ci sarebbe il romanzo, senza il mio studio della lingua non ci sarebbe la poesia, senza la mia passata esperienza come attore e direttore nel teatro sperimentale non ci sarebbe la mia poesia e il mio stile. Sono tutte arti, modi di leggere il mondo, legate. Ma adesso, visto che ho incrementato la mia produzione, sto cercando di tenere ben separate queste attività. Concentrandomi su scadenze e priorità: ora sto lavorando al nuovo romanzo e a metà aprile lo consegnerò al mio agente letterario; poi terminerò un libro di saggi che ho in consegna da un po’; quindi mi dedicherò ad una raccolta di poesie che molti aspettano. Sto impazzendo, ma per gradi, insomma!

Lo stile del tuo romanzo è abbastanza elaborato e sottile, dal punto di vista filologico almeno, si vede da lontano che sei uno che conosce bene e venera la storia della sua lingua, una sfida veramente per la traduzione, dove tante cose purtroppo vanno perse. Calvino debbe essere uno dei tuoi autori preferiti, ho letto che hai scritto un libro di saggi su questo tema, Calvino americano. Identità e viaggio nel Nuovo Mondo (Le Lettere, 2012). Ti senti un suo seguitore o, in un certo senso, un suo erede?

Amo il Calvino di Palomar, il Calvino de Le città invisibili, e anche di più forse il Calvino diCollezione di sabbia e del meraviglioso racconto-saggio La poubelle agrée cioè il Calvino che viaggia con corpo, mente e immaginazione, realmente o solo con la fantasia, parlandoci di artefatti, spazi museali e culture straniere: il Calvino che traduce sempre nelle culture altrui la propria incerta, sempre aperta, identità italiana. Ma non penso di essere un suo erede, sebbene abbia sempre condiviso la sua attitudine d’intellettuale italiano di fronte al mondo. Assieme a Calvino, ultimamente amo molto Volponi, Morselli e il mio compaesano Malaparte. Forse sono più vicino a loro, come stile, rispetto alla perfezione cristallina e direi quasi divina di Calvino, a cui però mancava l’arte romanzesca del plot.

Città del Messico, Berlino, Parigi, Firenze e Granada sono alcuni dei scenari dove si sviluppa l’azione del tuo romanzo. Sembra che c’è qualcosa per tutti quanti, non importa se si sia messicano, italiano, tedesco, francese o spagnolo. Cosa ritieni della globalizzazione e di una cultura omogenea, uguale per tutti quanti?

Credo che sia una sfida da giocarsi e non sempre porti all’omogeneità. Come lo era per la Venezia del 1500. Una sfida antichissima e allo stesso tempo modernissima: vedersi negli altri senza perdere la nostra identità culturale. Io mi sento uomo di mondo proprio perché mi sento toscano, forse più che italiano: essere toscano ti fa già di per sé un cosmopolita, forse, un vespucciano. L’omogeneità può essere un pericolo locale come globale: l’omogeneità dei secessionismi, dei purisimi razziali, così come l’omogeneità della globalizzazione dei mercati.

Adesso lavori sul tuo secondo romanzo e hai scritto anche per il teatro. Il linguaggio del secondo romanzo è simile a quello del primo o c’è qualcosa di diverso? Hai considerato la possibilità di scrivere in spagnolo? Penso che non sia tanto difficile per uno cui madrelingua è così vicina, inoltre non siamo in genere tanto pignoli per le sottiglianze di natura filologica in spagnolo.

Ancora è un’esperienza troppo fresca per risponderti. Il nuovo romanzo è, sì, molto diverso dal primo, e credo rappresenti una maturazione: dovuta a letture differenti dai classici della tradizione massimalista, barocca e postmoderna. È un romanzo molto italiano, perché è un’avventura interiore di tre figli degli Anni Novanta italiani riflessi sui giorni nostri. Io lo sto sottotitolando una “tragedia all’italiana”, mutuandolo dalla definizione cinematografica di “commedia all’italiana” (la commedia degli anni ‘60, di Alberto Sordi, dell’Italia del Boom). Quindi anche qui si ride e si spende qualche lacrima, ed è una tragedia perché ha per protagonista famiglie, figli, fratricidi e patricidi. Ma all’italiana, cioè sempre sospesa, sempre impossibile da risolvere fino in fondo, senza catarsi possibile. E sì, ho pensato di scrivere in spagnolo. Magari iniziando dalla poesia e dal racconto. Devo ancora metterlo in agenda!

Finalmente, come metti in rapporto il tuo gusto per la scena, il teatro, con il resto delle tue capacità per la scrittura?

Sebbene abbia di molto limitato la mia attività come autore in reading e performance, credo che abbia conformato molto l’esperienza di scrittura de Nella vasca dei terribili piranha. Adesso mi sento meno uno scrittore e poeta da palco, forse più un ricercatore in viaggio e un romanziere che ha bisogno della sue soste e angoli segreti, foss’anche un tavolino da bar di una grande città europea o latinoamericana.

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