Due righe due su Satantango, appena uscito in Italia per Bompiani

satantangoIl fatto che abbia letto la prima volta Satantango sulla spiaggia, e in inglese, farà scattare l’ironia di molti: esattamente sei mesi fa, quando già aleggiava nell’aria che prima o poi sarebbe uscito in Italia, il lettore più bischero (cioè io) moriva dalla voglia e se lo prendeva in inglese… in quell’edizione con decine di frasi e recensioni ridondanti stampate in copertina (c’era persino la sempre buona Susan Sontag, ma colpiva soprattuto la quote del divino Sebald – Dio, se lo sponsorizzava Sebald, andavo sul sicuro!). E così arrivo in ritardo, estate 2016, sotto il sole, con l’inglese che si contorce sulla pagina: certo, non si tratta affatto di un romanzetto da spiaggia. E nelle sue pagine, caratterizzate dal lungo e complesso periodare di Krasznahorkai (vedasi anche il suo Melancolia della resistenza, uscito per Zandonai, prima che quest’ultima cadesse in un oblio immeritato…), il colore del sole è quello della pece. L’atmosfera di questo scurissimo racconto messianico oramai degli anni ’80, e ambientato sulle rovine marce del comunismo (e di una comune agricola incattivita e immersa fino al collo nel fango), ti raggela, a partire dal risuonare delle trombe (dell’apocalisse?) della prima scena. I suoi personaggi, dai nomi pressoché impronunziabili o buffi, sono i cugini decaduti e lordati dei follemente geometrici personaggi di Samuel Beckett: girano anch’essi su stessi, uomini e donne sconci, così come fa il linguaggio del libro: in modo potente, riottoso, a tratti ubriacati di palinka e di invidia l’uno per l’altro. Il libro parla di un arrivo, dell’arrivo dell’ambiguo e gaglioffo Irimiás che tutti consideravano morto e che tutti prendono per un messia – geniale il monologo sibillino di quest’ultimo alla gente della comune – con una potenza statica e vorticosa che non ha niente da invidiare ad un Gombrowicz (ma senza l’ironia e la passione per le parole di quest’ultimo) o a un Danilo Kiš. Come ogni racconto messianico è più importante la messa in scena dell’effettivo svolgimento. Non ne uscirete, da quella comune, statene certi.

Per rendere l’idea dello stile di Krasznahorkai, basta prendere le prime pagine, scaricando l’estratto sul sito Bompiani. Il libro è uscito da qualche giorno, con la traduzione assai bella di Dóra Várnai.

Da leggere assolutamente, e da rubricare nell’onirico, allucinato, esplosivo Est letterario post-sovietico che ci ha donato anche uno come Cartarescu – nonostante c’abbiamo messo anni a tradurlo, pure lui…

p.s. Quello che non ho fatto ancora, e per fortuna manco d’estate, è vedere il film di Bela Tarr di 7 ore e passa, tratto dal libro di cui sopra.

 

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