Finalmente uno spazio generalista! Dopo due anni di elaborazione del blog Nella vasca dei terribili piranha, scrivania virtuale di un omonimo romanzo che ancora non si è dato alle stampe, ecco uno spazio in cui collegare i più disparati materiali, lo schermo frontale d’interfaccia di me con il mondo, e di voi -di voi che mi fate visita, che accumulate visite- con le mie smanie. Si pubblicheranno racconti e poesie, saggi e critiche, appunti sul Messico (la mia attuale residenza, una torre d’avorio contro l’esotismo), segnalazioni di cose marcatamente interessanti e di altre piuttosto buffe e inutili. Non disdegneremo un po’ di musica, un po’ di video, un po’ di relax. Praticamente sarà il mio primo sito ‘puro’.
Il titolo di questo spazio rispetta un pallino degli ultimi tempi, che è allo stesso tempo un vizio atavico del sottoscritto: amare nella letteratura gli spazi aperti, lo scavalcamento dei confini, l’esagerazione massimalista che rompe gli argini, dalla fantascienza all’avventura, di quelle buone: quelle che stanno all’origine e alla fine della letteratura, periferiche e essenziali allo stesso tempo. Per questo amare il colossale non solo cinematografico. Pensare idealmente che ogni oggetto della realtà abbia in fondo la dignità per entrare nel setaccio a fare la sua figura da anti-eroe, da buffone, da maschera. Non come tendenza al grandioso e alla pompa magna, ma come necessità di iscrivere il particolare nel generale, di rendere cosmica e sublime ogni visione, connettendo tra loro l’arcaico e il futuribile.
Sì, non sono proprio un pasoliniano. Al limite un volponiano, che soffre l’indifferenza dell’amico Pier Paolo (chi non sente un moto quasi fraterno per PPP…) nei riguardi dell’azzardo di Corporale, vero tentativo assieme al celeste Pianeta irritabile di allargare i confini, di respirare aria nuova, che è allo stesso tempo l’aria della tradizione, di un Leopardi. Per me le viscere servono per riflettere i cieli, l’aruspicina per fondamentare la cosmologia, non per conservare una zolla fedele e buona, per aggrapparsi dove si può. Per questo, uno dei propositi di quest’anno sarà cercare di comprendere la valanga del “provinciale” che ultimamente ci attanaglia, complice il diffuso out of date del globalismo in tilt. Questa valanga del “provinciale” la si può salvare come necessità intima di comprendere l’ignoto italico che ci portiamo appresso, ovvero vogliamo tornare alla terra, tornare alle origini, per capire dove abbiamo sbagliato. Sì, perché qualcosa abbiamo sbagliato, ne siamo tutti convinti. Ce ne andiamo tutti in giro, noi italiani sui 30 anni, scriventi o non scriventi, volenti o nolenti, come bombe che non sanno nemmeno esplodere, perché al loro interno un circuito è interrotto, qualcosa, appunto, è sbagliato, deviato. Siamo i servizi segreti deviati di noi stessi, in un Repubblica nata morente. Guardo con terrore al 2011: se da un lato si propineranno le esaltazioni da retorica risorgimentale, dall’altro ci sarà l’indifferenza di una popolazione e di un governo che ha ridotto a brandelli il Paese. Il brandello è la faccia negativa del federalismo cosciente, è l’abbrutimento incosciente dell’italiano che balbetta fiero l’inno di Mameli.
Il 2010, l’ho fatto capire, per la letteratura sarà l’anno del provinciale italiano, dunque. Forse ci servirà a qualcosa, come l’anno del precariato c’è servito per capire non ne potevamo più di sentire parlare di call center nelle letteratura italiana. Sarà l’anno del suo riscatto. E sarà l’anno in cui proseguirà il dibattito sul corpo del Capo, anche se il 2009 si è chiuso con l’iconoclastia del gesto di sfiguramento baconiano. Magari il Capo morirà per poi risorgere, o distribuirà le sue reliquie per il Bel Paese, segnandone la fine. Ma forse bisognerebbe spostare il discorso da un discorso sul sacro (che mi sa tanto d’incenso) ad un discorso sulla desacralizzazione. Il vero problema non è il Capo, ma la Coda (detto senza dietrologia), ciò che sta dietro. La partecipazione politica dell’italiano è determinata dalla fondamento della sua natura originaria: ovvero la visione, il Carosello, la melodia, la mnemotecnica (lo diceva Scarpa in una bella intervista con gli studenti del Liceo Ariosto). Ci dobbiamo ricordare ogni volta di essere italiani, il Capo ce lo ricorda ogni volta, perché il Capo è diventato refrain, melodia, Carosello. Il segreto che cercavamo più sopra sta forse nelle Teche Rai. Siamo il primo popolo televisivo della storia dell’umanità, privati fin dall’origine da un atto di violenza, assuefatti all’origine. Da avventurieri, poeti, esploratori, scienziati, a tele-ipo-vedenti.
La provincia, il corpo, la fine dell’italiano. Quindi lo stato nefasto della nostra natura: nel 2010 si parlerà molto di ecologia e d’estinzione, tematiche che stanno emergendo sempre più nell’ultima letteratura. Saremo tutti ecologici e quasi un po’ anarchisti green, prima di essere tutti estinti (forse per guerre relative all’ambiente.) Questa è una dimensione colossale, molto interessante e drammatica: bisogna scrivere considerando la possibilità che il nostro messaggio potrà anche non arrivare alle prossime generazioni, perché non ci saranno le prossime generazioni. Rilanciare la posta in gioco, se vogliamo avere il minimo sogno di arrivare al mittente futuro (non ne abbiamo la certezza). Una letteratura degli ultimi fini e delle prossime fini dell’umanità. Perché ci stiamo veramente impegnando nel renderci le cose più difficili.
Ma anche più facili (mettiamoci un po’ d’ottimismo): il 2010 speriamo vedrà l’affermarsi di un web 4.0 più docile e coerente con le nostre vite. In cui tutti sapremo usare le nostre estensioni, le nostre protesi, per collegarci materialmente con gli altri, per proporre adunanze e fare sharing di valori nuovi, senza mascherarci con un avatar virtuale e rispettando la fantasia dei nostri avatar reali. Le piazze wireless avranno un’importante funzione politica, per questo cercheranno a tutti i costi di tagliare le gambe a questi e altri progetti di ‘naturalizzazione’ dei media.
Ricapitolando: il 2010 sarà l’anno in cui, nel conto alla rovescia della nostra specie, cercheremo -lo spero- di allargare i confini del nostro scrigno secreto intimo, in cui cercheremo di distinguerci dal Potere per non disgregarci nell’antimateria con lui, in cui riporteremo il nostro sistema nervoso sulla Terra dolente. Un anno avventuroso, picaresco, divertente ma anche profondamente maturo. Avere 30 anni nel 2010 porta con sé della responsabilità, qualunque segno astrologico uno abbia.
Uau!
Come si dice in questi casi?
Congratulazioni?
Che bello?
Bravo?
Congravotulazionello!!!
Dai i trent’anni l’astrologia dice inizi a prevalere la spinta del proprio ascendente rispetto a quella del segno. Ascenderò dunque dalle lagunari ricognizioni d’uno scorpione solitario al cielo terso di stelle sagittarie, che fisse, io interpreto proprio come responsabilità, frecce che da ciò vedo puntano dritto allo scrigno delle mie secrete scelte. Ci sono, d’accordo con il divertirsi, sbilanciata sul condividere, augurando ad ognuno coraggio per la propria realtarizzazione. Buon viaggio
ui oll lav ravens!
😀
Alé!